
L’area piazzese ed una parte del suo immediato intorno, ospitano una gran quantità di beni materiali ed immateriali di cui fruire e godere liberamente; alcuni devono la loro fortuna grazie a particolari condizioni naturali che si sono venute a creare nel corso del tempo, a volte un tempo lunghissimo, dell’ordine dei milioni di anni, altre volte relativamente più breve, dell’ordine di qualche decina di anni.
Del primo gruppo fanno parte paesaggi, incisioni, erosione selettiva, ecc. che hanno prodotto forme con peculiarità e aspetti alquanto interessanti nel corso di lunghissimo tempo; al secondo gruppo appartengono, invece, le aree boscate, le opere realizzate dall’uomo, ecc.
Complessivamente, la porzione di territorio considerato si presenta, dal punto di vista geologico generale, piuttosto semplice e monotona; si tratta, infatti, di sabbie, sabbie limose ed arenarie risalenti sin a circa 3,6 milioni di anni fa e fino a circa 1,8 milioni di anni fa (Pliocene Superiore – Pleistocene inferiore), in strati più o meno spessi ricoperti da suolo vegetale o da depositi alluvio-colluvionali, le cui età sono decisamente più recenti, da circa 126.000 anni fa ai giorni nostri (Pleistocene superiore – Attuale), anche se diverse porzioni del territorio considerato mostrano litologie, aspetti, morfologie e caratteristiche differenti.
Infatti, oltre a litotipi relativamente recenti, come sopra riportato, alcune aree mostrano terreni decisamente più antichi, risalenti addirittura a circa 11,6 milioni di anni fa (Tortoniano), con forme, caratteristiche, aspetti decisamente diversi e, conseguentemente, per questo affascinanti.
Le diverse litologie sono responsabili anche della diversa distribuzione delle essenze vegetali e, pertanto, della fauna riscontrabile, dato che si generano habitat totalmente diversi, pur parzialmente sovrapposti e coesistenti; questo consente una certa biodiversità che invita ad essere visionata, fruita e valorizzata da qualsiasi visitatore.
Di seguito, se ne vuole offrire una carrellata esemplificativa, non esaustiva, di quanto il territorio piazzese ed i suoi dintorni possano suscitare in termini di emozioni, suggestioni, impressioni, liberamente declinabili secondo stati d’animo, momenti o semplici attimi di pensiero, poesia e secondo i confini di storia, mito, leggenda e realtà, mirabilmente intrecciati.
VILLA DEL CASALE
La Villa Romana del Casale, facente parte del patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO, è ubicata a circa 3,5 km, in linea d’aria, dall’abitato di Piazza Armerina ed è costituita da diversi corpi di fabbrica tra loro vicini o giustapposti sin dal I secolo d.C.; l’assetto attualmente visibile è invece riferibile al IV secolo d.C., dopo la ricostruzione a seguito di un terremoto datato 361-363 d.C.
Trattasi di un insieme a cui è stato dato il nome di “Villa” perché ubicato relativamente lontano dai centri abitati del tempo, anche se la costituzione architettonica e la distribuzione degli ambienti lasciano ipotizzare piuttosto ad un palazzo urbano imperiale; questo è riccamente dotato di mosaici pavimentali di inestimabile bellezza e rarità, le cui tessere, di dimensioni variabili, spiccano per varietà ed abbondanza dei disegni e, soprattutto, dei colori.
La scelta del sito per l’edificazione non è certamente casuale: la presenza di un complesso termale lascia intendere l’abbondanza di risorse idriche che, a loro volta, debbono la loro presenza alla particolare costituzione geolitologica dei terreni presenti in zona ed alla loro evoluzione geomorfologica; ci si trova, infatti, in una zona di basso morfologico impostato su litotipi sabbiosi, sabbioso-limosi e arenacei, talora fossiliferi, del Pliocene superiore – Pleistocene inferiore, appartenenti alla Successione di Piazza Armerina.
Detti terreni, permeabili per porosità e, localmente, per fratturazione dei livelli litoidi, consentono l’infiltrazione delle acque piovane e la loro emersione nel momento in cui intercettano il substrato impermeabile (Argile marnose) o livelli a minore permeabilità relativa (sabbie limose e limi sabbiosi).
Se questo da un lato, ha fornito preziose indicazioni sulla scelta dell’ubicazione dell’insediamento romano, non lo ha certamente reso immune dalle problematiche che, a tutt’oggi, affliggono il sito: la perdurante presenza dell’acqua, con tutte le sue oscillazioni nel tempo, unite alla non perfetta omogeneità dei litotipi costituenti l’area dei sedime, ha progressivamente generato delle instabilità che ad oggi, stanno minando la durabilità di alcune delle infrastrutture e, soprattutto, dei mosaici pavimentali che l’hanno resa famosa nel mondo.
LAGO OLIVO
Trattasi di un lago artificiale ottenuto costruendo, intorno alla metà degli anni ’80, uno sbarramento lungo una porzione del Fiume Olivo, avente carattere torrentizio, allo scopo di implementare le risorse idriche necessarie agli scopi irrigui dell’area.
Tale situazione è stata resa possibile sia dalle condizioni morfologiche, ove il Torrente possedeva una sezione sufficientemente stretta, sia da quelle più squisitamente geologiche, posto che l’area ove esso insiste mostra litotipi esclusivamente poco o affatto permeabili quali le Argille marnose di Geracello del Pliocene superiore – Pleistocene inferiore, appartenenti alla Successione di Piazza Armerina.
Il bacino possiede forma alquanto irregolare, sembra quasi una mano che si incunea tra le montagne circostanti anche se, a causa delle poche precipitazioni, non riesce quasi mai a superare i due terzi della capacità massima.
La particolare composizione dei suoli, dovuti alle caratteristiche del substrato argilloso genera condizioni vitali per le piante alquanto cangianti, tant’è che sono evidenti lungo le sponde aree con ricchissima presenza sia numerica che tipologica di vegetali di ogni tipo, alcuni dei quali adattati alla vita sommersa o semisommersa; la presenza di una superficie acquatica ha reso possibile l’attecchimento di alghe, nonostante il fondale sia piuttosto fangoso ma, soprattutto, lo ha reso una importante stazione per la avifauna, maggiormente rappresentata da aironi; alcune specie sono stanziali, altre migratorie. Non manca poi l’ittiofauna d’acqua dolce, unita ad una pletora di anfibi, piccoli rettili ed altri piccoli animali.
In particolari condizioni e previa autorizzazione delle autorità competenti è possibile svolgere attività di pesca sportiva.
TRIPOLI DI BESSIMA
Con il nome “tripoli” si intende una successione millimetrico-ritmica di diatomiti e marne, originata da migliaia di deposizioni in minuscoli straterelli di diatomee e materiali terrigeni, da cui deriva la componente marnosa; viene spesso definito, a causa della fragilità e della facilità con cui si disgrega, “farina fossile”.
Poiché la formazione di tali depositi è associata ad un aumento della salinità dell’originario bacino, con condizioni euxiniche, cioè caratterizzato dalla scarsa presenza fino alla scomparsa dell’ossigeno nell’acqua, il che provoca la progressiva morte di tutti gli esseri viventi in acqua, con conseguente facilità di conservazione della sostanza organica che genera, nel tempo, fossili; questi ultimi diventano evidenti se si cerca di rompere i depositi di tripoli lungo i piani di strato.
L’intera formazione, in generale, segna una crisi di salinità avvenuta circa 7,25 milioni di anni fa (Messiniano), probabilmente imputabile alla contemporanea presenza di un clima arido ed alla chiusura, per fenomeni tettonici, dello stretto di Gibilterra, facendo diventare, in questo modo, l’attuale Mar Mediterraneo, un immenso lago salato; naturalmente, non essendo il fondale del tutto piano, la deposizione non è stata del tutto continua ma separata in sottobacini più piccoli.
In particolare, presso Contrada Bessima, a circa 9,3 km, in linea d’aria, da Piazza Armerina, lungo la Strada Provinciale 12 che congiunge Barrafranca e Piazza Armerina è possibile riscontrare uno degli affioramenti più importanti conosciuti in Sicilia, sia per la sua estensione che per lo spessore ma, soprattutto, per l’abbondante contenuto fossilifero, in particolare l’ittiofauna.
Tale caratteristica ha permesso non solo di valutare, con una certa precisione l’intervallo temporale di deposizione (circa 140.000 anni) ma, soprattutto, l’aspetto paleogeografico; infatti, le varie specie fossili riscontrate dagli studiosi specialisti paleontologi hanno permesso di stabilire l’ambiente di vita e le sue caratteristiche. Si è così potuto risalire al fatto che la fauna riscontrata è pelagica, cioè tipica di mari aperti e profondi, di ambienti caldi sub-tropicali e presenta una commistione di specie mediterranee, atlantiche ed indo-pacifiche comprovando la supposta comunicazione tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano nel Miocene; inoltre, la riprova che deposizione del Tripoli di Bessima sia avvenuta lontano dalla riva risiede nel fatto che tra i resti fossili rinvenuti non sono stati osservati insetti o piante terrestri.
Nel passato, gli affioramenti di Tripoli di Contrada Bessima, sono stati utilizzati sia per ricerche scientifiche ma anche a scopo produttivo: infatti, la farina fossile è spesso utilizzata come agente filtrante, come abrasivo, lucidante, coibente, componente della dinamite insieme alla nitroglicerina; viene altresì utilizzata nei laboratori di analisi biologiche per valutare i test di coagulazione del sangue e, in agricoltura, quando si pratica la tecnica dell’aridocoltura, come agente antitraspirante.
ROCCHE DI CASTANI
Le Rocche di Càstani, ubicate a circa 3,5 km ad Est, in linea d’aria dall’abitato di Valguarnera Caropepe, sono raggiungibili percorrendo la Strada Provinciale 8 che congiunge il centro di Valguarnera con il Bivio per Raddusa.
Sono delle modeste alture (rocche) la cui “ossatura” è costituita da Calcare di base, la cui età di formazione è valutata in circa 7,25 milioni di anni fa (Messiniano); esso segue, in continuità stratigrafica, la sedimentazione del Tripoli, viene posto alla base della tipica successione evaporitica e si presenta come una dorsale allungata in senso Est-Nordest/Ovest-Sudovest, con evidenza di pieghe ad ampio raggio di curvatura.
La stratificazione è in banchi grigiastri, bianco-grigiastri e/o rosati, con spessori variabili ma, generalmente, di ordine metrico, intervallati, talora, da livelli marnosi, tripolacei e limosi; talvolta gli stati sono di aspetto massivo, ma si rinvengono anche brecciati, pulverulenti, vacuolari: i vacuoli, originati da fenomeni dissolutivi, possono essere poco o molto numerosi, conferendo un aspetto “cariato”; in qualche caso i vacuoli ospitavano cristalli di zolfo (calcare solfifero) che, essendo più solubile del calcare, viene disciolto più facilmente e per primo. In qualche caso cono state rinvenute anche impregnazioni bituminose.
Le Rocche di Càstani costituiscono l’elemento morfologico separatore (spartiacque) tra il bacino del Fiume Dittaino, a Nord e il bacino del Fiume Gornalunga, Sud; entrambi appartengono al ben più ampio bacino del Fiume Simeto, essendone suoi affluenti.
“PUPI BALLERINI”
Il termine, un po’ folcloristico, assieme ad un altro, “pietre incantate”, si riferisce ad alcune formazioni rocciose presenti all’interno della Riserva Naturale Orientata Rossomanno-Grottascura-Bellia, nei pressi del vivaio forestale di Ronza (conosciuto anche Parco Ronza), lungo la S.S. 117 (Enna-Piazza Armerina), a circa 7,5 km a Nord dal centro abitato di Piazza Armerina, ove l’azienda delle foreste demaniali locale ha realizzato una delle più vaste aree attrezzate della Sicilia, capace di ospitare centinaia di visitatori, con sedili, fontane, voliere, panche, tavolini, con possibilità di barbecue e aree recintate dove possono vedersi, per la gioia dei bambini e non solo, animali come daini, istrici, capre, cinghiali.
L’origine di queste formazioni rocciose, a composizione arenacea (principalmente quarzosa ma con percentuali variabili di calcare), è stata dibattuta nel corso degli anni e, dopo le primissime interpretazioni di tipo favolistico e mitologico, si sono succedute le spiegazioni scientifiche, corroborate da prove tecniche, analisi e sperimentazioni.
Inizialmente, si pensava a dei misteriosi abitanti dei luoghi che, riuniti in un cerchio magico in una sorta di danza sabbatica, fossero stati pietrificati durante un sortilegio per aver commesso chissà quali malefatte; successivamente si è ipotizzata una origine preistorica e storica, attribuendo a questi oggetti il significato di menhir, megaliti monolitici eretti dall’uomo; qualcun altro, seguendo la scia preistorica, ha pensato ad un allineamento di tipo dolmenico, tombe megalitiche monocamera.
Sono stati eseguiti anche degli studi specialistici, in merito alla possibile presenza di allineamenti astronomici delle rocce e quindi di una funzione rituale, stagionale o calendariale del luogo; peraltro, nei dintorni, non sono stati rinvenuti resti significativi di presenza umana come ceramiche, utensili, ossa, e altro.
Secondo altri studiosi, in particolare, geologi, geomorfologi ed archeologi, invece, le rocce presenti sarebbero delle pietre naturali modellate dagli agenti atmosferici, in particolare, dall’acqua e dal vento; alcune forme di erosione, specificatamente, la corrasione, l’azione di abrasione e smerigliatura operata delle particelle solide trasportate in sospensione dal vento, ha consumato e modellato la roccia coerente dopo aver allontanato, per deflazione, la capacità di trasportare a distanza particelle solide, le particelle più tenere, più erodibili e più fini e sottili.
Si sono così generate le forme che oggi tutti ammirano e che sarebbe opportuno ammirare, se non si ha mai avuto occasione di farlo.
FLORISTELLA-GROTTACALDA
Il Parco Minerario Floristella-Grottacalda prende il nome dalle due omonime miniere di zolfo, ormai dismesse, che sono state attive fino agli anni ottanta del secolo scorso.
Hanno una storia molto antica, se si pensa che lo zolfo dell’area veniva estratto fin a partire dall’epoca degli antichi Romani; l’area si trova a circa 3,0 km ad Ovest rispetto all’abitato di Valguarnera Caropepe ed è facilmente raggiungibile attraverso la S.P. N° 4 ma anche la S.P. N° 88; inoltre, è servita da altre strade e stradine secondarie, talora difficili da percorrere in automobile, ma facilmente non solo a piedi ma anche in mountain-bike o a cavallo; infine, fino agli anni settanta l’area era collegata persino dalla ferrovia perché era più comodo, economico e versatile portare i minerali estratti verso l’esterno e la commercializzazione e condurre materiali, uomini e mezzi necessari per l’estrazione direttamente in loco.
Attualmente tutta l’area è vegetata ed è grazie alla vegetazione, in parte spontanea ed in parte voluta dall’uomo, che non si vedono ormai quasi più i resti delle lavorazioni e dei materiali di scarto prodotti sia dalle estrazioni che dal riscaldamento del calcare solfifero negli appositi forni; infatti, lo zolfo, nella maggior parte dei casi, non è puro ma impregna alcune rocce calcaree. Poiché la temperatura di fusione dello zolfo è relativamente bassa (circa 113 °C) rispetto a quella del calcare che lo ospita, la tecnica di separazione si basa sul riscaldamento del materiale solfifero che, alla temperatura di fusione, lascia scorrere in forma liquida lo zolfo, lasciando intatto il resto della ganga.
I prodotti di scarto, meglio conosciuti nel gergo dei minatori come rosticci o “ginisi”, con colori cangianti dal rosso vino al giallo ed al biancastro è stato e viene tuttora largamente utilizzato come sottofondo stradale a causa delle sue proprietà autoleganti che ne fanno un ottimo sottofondo da porre alla base del manto stradale.
Fanno bella mostra di sé, invece, al punto da rendere l’area un vero e proprio museo a cielo aperto, tutte le attrezzature e le tecniche estrattive e di lavorazione. Ancora ben visibili e drammaticamente evocativi, come ebbero a descrivere Verga e Pirandello in alcuni dei loro scritti (Rosso Malpelo – Ciaula scopre la luna), appaiono le calcarelle (rudimentali forni di fusione del minerale di zolfo), i calcaroni (forni circolari per la fusione e separazione dello zolfo dal materiale inerte a partire dal 1850), le discenderie (circa 180 cunicoli semiverticali utilizzati in epoca preindustriale per raggiungere il giacimento), i castelletti e gli impianti dei pozzi verticali (utilizzati in epoca recente per la discesa in sotterraneo, ma con il primo argano risalente al 1868), i forni Gill (sistema più moderno per la fusione dello zolfo, post 1880), le lampisterie (locali dove si conservano gli apparecchi di illuminazione necessari al lavoro nelle miniere), i ruderi dei fabbricati di servizio sorti in prossimità dei pozzi (infermerie, alloggi per i minatori, compresi il locali adibiti a dopolavoro per i lavoratori), fino alle tratta ferroviaria tra le stazioni di Floristella e Grottacalda attraverso le quali veniva caricato e spedito lo zolfo, compresa la rete ferrata interna per il trasporto dei vagoncini con il minerale.
Una grandiosa costruzione, nella sua semplicità architettonica, domina il territorio del complesso minerario di Floristella, il Palazzo Pennisi, antica residenza della famiglia baronale proprietaria dell’area. Il palazzo, seppur restaurato e sede del parco minerario, non è del tutto visitabile ed accessibile ma ospita al piano terreno una tale quantità di oggetti, scritti, attrezzi da far meritare certamente una visita. La magnificenza, almeno dimensionale, se non nello stile ottocentesco, ancora oggi rende evidente l’estremo divario sociale tra i minatori, costretti a vivere di stenti, ed i proprietari della miniera.
Anche Grottacalda, ben visibile dalla strada che collega Enna a Piazza Armerina, mostra una gran quantità di caseggiati, diversi opifici, una bella ciminiera di mattoni cotti rossi in discreto stato di conservazione, ed anche i luoghi circostanti mostrano pozzi, discenderie ed antiche tecnologie estrattive.
L’intero Parco Minerario rappresenta uno dei più importanti siti di archeologia industriale esistenti nel Mezzogiorno d’Italia ed una delle più grandi, antiche e significative aree minerarie di zolfo della Sicilia. Può considerarsi un grande museo all’aria aperta, dove il vasto complesso estrattivo fornisce una vera e propria “stratigrafia” delle diverse epoche e dei relativi sistemi e tecniche d’estrazione e di fusione dello zolfo e nel cui territorio l’attività estrattiva dello zolfo è documentata dalla fine del 1700 al 1986, anno in cui nell’area mineraria cessò definitivamente ogni attività legata alla produzione solfifera.
Il Parco presenta, altresì, aspetti paesaggistici e naturalistici di rilievo: sono presenti specie vegetali ed animali adattate alla particolare composizione dei suoli, notevolmente modificati durante le attività estrattive. Sono altresì presenti zone umide alimentate dalle acque naturali che emergono naturalmente quando dai terreni permeabili evaporitici messiniani si passa al substrato argilloso poco o affatto permeabile. A tal proposito, particolare interessa desta la sorgente di acque sulfuree che alimenta il rio Floristella.
Ulteriore aspetto particolarmente interessante a Floristella è dato dalla presenza di un’area ove sono evidenti emissioni di gas (essenzialmente metano ma anche azoto, elio, ossigeno, monossido di carbonio, anidride carbonica, solfuro di idrogeno,), fango e acqua salata, con aspetto di veri e propri vulcanelli di fango, detti maccalube; il termine deriva dall’arabo makluba o anche maqluba che, tradotto, significa “sottosopra”, con un chiaro riferimento al materiale trasportato dall’interno della Terra (sotto) verso la superficie (sopra). L’aspetto è tipicamente a cono irregolare con pareti a debole pendenza e con, nella parte più alta, un cratere da cui fuoriescono i materiali precedentemente descritti con un percorso variabile ed irregolare ma, comunque, a raggiera. Il fenomeno, diffuso in buona parte del bacino gessoso solfifero siciliano, è maggiormente visibile a ridosso dei periodi piovosi, pur non essendo, a oggi, stati identificati dei veri e propri cicli stagionali, con comparsa di parossismie momenti di scomparsa totale.
In un così pregevole contesto paesaggistico, il sito minerario consente di usufruire di beni culturali ed ambientali d’interesse internazionale a breve distanza tra cui si menzionano, solo a titolo d’esempio ed in modo non esaustivo, il lago di Pergusa e la riserva faunistico-forestale della Ronza, la Villa Romana del Casale a Piazza Armerina e gli scavi archeologici di Morgantina ad Aidone.
La particolare disposizione territoriale, la ricchezza di opportunità, la disponibilità già apprezzabile di servizi, rendono l’intera area eccezionalmente idonea all’escursionismo nelle forme più variegate: dalla semplice escursione ad una visita ragionata con o senza mezzo d’ausilio: mezzi a motore, mountain bike, cavallo, ecc.