Tra le leggende più note, vi è quella del tesoro di Monte Naone. La storia narra che nel regno di Monte Naone, situato nel centro della Sicilia, regnava il re Jovàno e la regina Sara. Nel castello sulla cima del monte, il saggio Turoldo svolgeva studi ed esperimenti. Tuttavia, nell’ombra viveva nascosta una strega malvagia di nome Brigida, che un giorno assunse l’aspetto della regina Sara e fece un sortilegio al momento della nascita della principessa Rubelia. Rubelia cresceva in bellezza e grazia, ma la morte della regina durante il suo parto gettò tristezza nel regno. Con il passare degli anni, il re Jovàno diventò sempre più preoccupato per il futuro del regno senza eredi. Decise di invitare principi da altri regni per sposare Rubelia, promettendo la mano della principessa a chi avrebbe portato la maggiore ricchezza. Tuttavia, il re Jovàno, guidato dalla strega Brigida, organizzò un agguato per rubare i tesori dei principi invitati. Ma questo piano malvagio portò alla sua rovina: mentre maneggiava i tesori, una voragine si aprì e lo inghiottì, facendolo scomparire insieme al tesoro. Rubelia divenne regina e cercò di affrontare la situazione, ma il popolo cominciò a mormorare sulla strage dei principi e sulle storie dei tesori. La strega Brigida subì una maledizione e fu trasformata in una creatura mostruosa. Il buon mago Turoldo pianse per la giustizia infranta e, con l’aiuto di sette colombe bianche, tentò di riportare l’equilibrio. Rubelia decise di liberare il regno dalla culovria, la creatura mostruosa, offrendo la corona e il suo amore a chi avesse sconfitto il mostro. Sette cavalieri giunsero e uno di loro, dopo aver vinto, offrì a Rubelia un dente del mostro come prova. Rubelia comprese il miracolo e si innamorò di lui. Rubelia sposò il giovane principe e il regno di Monte Naone tornò a essere felice e prospero.
Una credenza meno nota, ma altrettanto affascinante, è riportata nel volume Cartelli, pasquinate, canti, leggende, usi del popolo siciliano. La tradizione prescriveva la credenza che un sacrificio umano potesse essere ricambiato con la predizione dei numeri del lotto. Riporta, infatti, Pitrè: «A Piazza Armerina, in un fondo detto Balatazze, c’è sotto un albero di fico un gran pozzo, coperto d’ una lastra di marmo nero. Chi vuol vincere un terno, deve uccidere un bambino (figlio suo o d’altri non importa), raccogliere in una pentola il sangue della vittima e farlo cuocere finchè rapprenda. Ciò fatto, da un buco che dà nel pozzo deve gettar la sozza bevanda nell’acqua, donde un momento dopo vedrà uscire un serpe tutto nero, che liberà il sangue rimasto nella ciotola, mentre presso il cadavere del bambino farà trovare in compenso un pezzo di carta con sopra disegnato un teschio che ha in fronte scritto un bel terno»32. Questa credenza rientra tra i molteplici mezzi per conoscere i numeri del Lotto di difficile e spesso impossibile esecuzione che a Piazza Armerina, come in altri Comuni siciliani si tramandano di generazione in generazione.
I valori simbolici attribuiti all’acqua ricorrono in altre leggende di Piazza Armerina. Si racconta che uno stagno, localizzato nel piano attualmente compreso tra la Chiesa dei Teatini e la Torre del Patrisanto, possedeva la capacità di restituire la verità. Nel gorgo nero, così chiamato per le sue acque sulfuree, usavano gettare delle tavolette di legno due litiganti che volessero definire con certezza chi avesse ragione. Si credeva che la tavoletta di chi aveva torto non potesse galleggiare ma fosse destinata ad affondare nelle acque del gorgo. Inoltre, si riteneva che respirando profondamente gli effluvi dello stagno si riuscisse a desumere lo stato di gravidanza. Un malore conseguente all’ispirazione era infatti considerato un segno inequivocabile di una gestazione in atto.