Carraro

Il calendario cerimoniale di Piazza Armerina è scandito da ritualità straordinariamente vitali. Le feste tradizionali si susseguono lungo il corso dell’anno collocandosi in concomitanza con le scadenze fondamentali dei cicli stagionali e produttivi e in particolare del grano: dalla preparazione del terreno tra settembre e ottobre, alla semina nel mese di novembre e fino a metà dicembre, alla nascita e crescita del germoglio da metà dicembre a marzo, alla formazione e maturazione della spiga da metà marzo a metà giugno, ai processi di mietitura e trebbiatura che chiudono e rinnovano il ciclo. Nonostante il grano non sia più oggi alla base dell’economia di Piazza Armerina e altre attività produttive abbiano avuto in passato un ruolo di rilievo, la sua connessione con le cerimonie religiose folkloriche rimane nella sostanza primariamente importante. La festa che inaugura il calendario cerimoniale di Piazza Armerina è quindi quella che celebra i Morti, entità che vegliano il sottosuolo dove il seme è trasformato in germoglio. A Piazza Armerina è uso confezionare pupi di zucchiru e nasconderli, insieme a giochi, paste di martorana e frutta secca, nei cestini e nelle calze che i bambini appendono ai piedi del letto la sera dell’1 novembre. Artefici di questi doni sono detti gli stessi parenti defunti, che durante questa ricorrenza possono fare visita ai vivi. Cibandosi dei pupi di zucchero, i bambini, che sono perpetuazione degli antenati defunti (non a caso ai nuovi nati è assegnato tradizionalmente il nome dei nonni), entrano in contatto con loro acquisendone la forza e le virtù44.

Il 4 dicembre si celebrava a Piazza Armerina la festa di Santa Barbara, la protettrice dei minatori. La festività è scomparsa a seguito della chiusura delle miniere di zolfo poiché era praticata da questi lavoratori in città e nella frazione di Grottacalda. Tra la semina del grano e la nascita dei primi germogli si celebra la festa di Santa Lucia (13 dicembre). In questa occasione, i piazzesi usano preparare e consumare nelle case la cuccia: grano o grano e altri legumi condito con semplice olio, mosto di vino cotto, crema di latte o ricotta dolcificata, anche con l’aggiunta di cioccolata. Le celebrazioni del Natale hanno inizio nove giorni prima del 25 dicembre, durante i quali gruppi di suonatori che hanno sostituito i tradizionali ciaramiddari (zampognari) intonano inni natalizi e altri canti presso le chiese e le edicole votive addobbate a festa. gli addobbi sono realizzati con rami di alloro, frutti e rami di arancio, cespi di asparago selvatico e fiocchi di cotone. Al termine dell’esibizione dei cantori, si sparano i mortaretti e si accendono dei falò, chiamati luminiadi attorno ai quali in passato i bambini cantavano in girotondo inni al Bambino Gesù. Nel frattempo, nelle case vicine al falò, le donne riempivano di brace gli scarfaturi (scaldini) e cantavano «Li bombi p’ l’aria/ la bella armunia/ e viva Maria/ ch’Diu la criò;/ e senza Maria/ sarvari nun si po»45. Riguardo i dolci natalizi, Pitrè ricorda che Piazza Armerina era celebre per il turruni46. Il 17 gennaio è scomparso l’uso di celebrare presso la chiesa di Sant’Antonio Abate l’omonimo santo con la tradizionale binidiciuta (benedizione) degli animali. Sono scomparse a Piazza Armerina anche le celebrazioni pubbliche del Carnevale. Tradizionalmente, nella strada dei calzolai (cr’v’sarìa) si svolgeva la tradizionale mascariada. L’usanza consisteva nel beffeggiamento dei passanti da parte che i calzolai (cr’v’seri), autorizzati, grazie alla sovversione dei ruoli nel tempo carnascialesco, a rivolgersi con scherno anche ai concittadini di più alta estrazione sociale47. Se quest’uso è oggi scomparso, straordinariamente vitali sono a Piazza Armerina i riti della Settimana Santa, caratterizzati dalla peculiarità dei Lamenti (a lam’ntada d’e confrati)48. Presso il sagrato della Chiesa del SS. Crocifisso i cantori eseguono i Lamenti secondo le tradizionali modalità espressive durante tutti i giorni della Settimana Santa, dopo la celebrazione eucaristica pomeridiana. Nella stessa chiesa, il Giovedì Santo si svolge il rito della lavanda dei piedi e a seguire, durante l’Adorazione Eucaristica, i Lamentatori offrono la loro performance canora per poi proseguire percorrendo le stesse vie della processione del Venerdì Santo. Durante il Giovedì Santo è uso visitare almeno tre sepolcri, termine con il quale sono designati gli altari delle chiese adornati con fiori, piante verdi e piantine di semi di grano e altri cereali fatti germogliare al buio: i lavureddi. La preparazione di questi è competenza delle donne e avviene nelle case settimane prima della disposizione ai piedi degli altari.

Tradizionalmente, i sepolcri della chiesa del Purgatorio erano curati dalle Maestranze e si distinguevano per magnificenza. Nella giornata che celebra la Passione di Cristo, avviene ’a calata a Cruc’ con la quale il Crocifisso viene prelevato dall’altare e passato di mano in mano tra i portatori raggiunge il sagrato dove viene intronizzato sul fercolo per essere portato in processione con l’urna di vetro e alla statua dell’Addolorata. Il corteo processionale è aperto da un sagrestano che porta un lungo bastone dal quale pendono le tovaglie in percalle donate dai fedeli per vestire gli altari. Durante il Triduo Pasquale il suono delle campane non è ammesso, mentre la tradizione prescrive l’uso delle scattiole, uno strumento in legno a forma di tavoletta con una maniglia di ferro mobile che produce suono con il movimento della mano49. Lo “scioglimento” delle campane avviene allo scoccare della mezzanotte del Sabato Santo, mentre in passato si svolgeva a mezzogiorno. La Domenica di Pasqua si svolgono le celebrazioni liturgiche e la tradizionale alzata della tela dipinta. Questa tela è calata in segno di lutto il Mercoledì delle Ceneri, alzata la Domenica delle Palme, calata nuovamente il Mercoledì Santo e sollevata definitivamente il giorno della Resurrezione. In concomitanza con questa usanza, il Mercoledì Santo si usava celebrare in Cattedrale il cosiddetto ufficio delle tenebre, durante il quale i fedeli rievocavano il terremoto della Crocifissione battendo tavoli e sedie sul pavimento. La Pasqua è celebrata anche nello spazio domestico con l’abbondanza alimentare che caratterizza i pranzi consumati dalle famiglie. Tra i cibi tradizionali, rivestono particolare interesse i palummeddi, tipici biscotti di pasta frolla a forma di colomba rivestiti di un sottile strato di glassa e ripieni di pasta di mandorle. Concluso il tempo festivo della Settimana Santa e dopo le scampagnate del lunedì di Pasquetta, detto Pasqualuni, si celebravano in passato due ricorrenze oggi scomparse: la festa di Santa Maria dell’Itria, il martedì successivo alla Pasqua, e quella di San Vincenzo Ferreri, compatrono della città, la prima domenica dopo la Settimana Santa, quando dalla chiesa del Crocifisso si diparte oggi la processione della Santa Spina.

Tra le feste che celebrano il grano in semi o in farina che è sostanza del pane, di antica tradizione è a Piazza Armerina quella in onore di San Giuseppe. La caratteristica di questo culto è l’allestimento per voto delle tavulate: grandi strutture di legno spesso costituite da assi disposte a gradini alla cui estremità campeggia l’immagine di San Giuseppe o della Sacra Famiglia e imbandite con prodotti di ogni genere: primizie vegetali, ortaggi, uova (spesso sotto forma di frittate), frutti, dolci e soprattutto pani, pani cui sono impresse svariate forme: dagli elementi vegetali e animali ai simboli connessi all’agiografia della Sacra Famiglia e degli altri Santi cui è destinata l’abbondante mensa. I Santi sono spesso dei bambini che rappresentano San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino cui la fedele che ha promesso l’altare si è rivolta per ottenere una grazia. Alle donne spetta il compito della preparazione della mensa anche se il voto è stato contratto da altri familiari. Questi personaggi si cibano degli alimenti presenti sugli altari serviti da chi ha allestito la mensa spesso coadiuvato da amici e parenti. Al termine del pasto rituale dei Santi i prodotti restanti sono distribuiti alla comunità presente ad eccezione dei pani che sono spesso disposti sull’ ultimo gradino dell’altare e sono destinati ai sacri personaggi che riproducono nella forma gli attrezzi del mestiere del Santo Patriarca (il martello, la tenaglia, etc.) o parti del suo corpo (la barba, la mano, etc.), spesso una mano o una palma per la Madonna, un cerchio o un gallo per il Bambino50. Alle tavolate realizzate per voto nelle case si affiancano oggi quelle allestite presso le sedi dei comitati di quartiere, di associazioni e istituti scolastici, segno della volontà condivisa di preservare e trasmettere questa antica tradizione alle generazioni future e condividerne la conoscenza con potenziali visitatori. La processione e la festa liturgica di San Giuseppe si svolgono il 1 maggio, giorno che è altresì consacrato a San Filippo Apostolo. Le celebrazioni si svolgono nel vicino Comune di Aidone, di cui San Filippo, detto u Nir (il Nero) per il colore con cui è raffigurato, è patrono. In occasione della festa, i piazzesi devoti si recano in pellegrinaggio a piedi sino alla Chiesa di Santa Maria La Cava ad Aidone per compiere quello che viene chiamato viaggiu a San Filippu, per i piazzesi u massèr, il massaro, in quanto protettore dei lavoratori dei campi. La leggenda mette in scena un’antica disputa tra Piazza Armerina e Aidone. Si narra che gli aidonesi abbiano rubato la statua ai piazzesi e che i primi facciano uscire e rientrare la statua di spalle per non mostrare al Santo la strada per Piazza Armerina, che è frontale alla chiesa di Santa Maria. D’altra parte, si dice che San Filippo d’Agira, portato in processione a Piazza Armerina il 12 maggio, una volta giunto all’altezza della croce di San Pietro, senta il desiderio di tornare ad Aidone. Il poeta Girolamo Giusto Candrilli così riporta la tradizione in versi:

«San Fulippuzzu lu Casaluttaru,

‘ntisu lu Lupu nni lu tò quarteri,

com’è ca fu ch’ a Chiazza ti purtaru

e no a Daduni? E tu chi fa… nun c’eri?

Ed anni ed anni e sèculi passaru,

ma tu ristasti sempri forasteri;

e torci e “gioj” ammàtula ‘bbunnaru,

sempri a Daduni va lu tò pinseri.

E quannu sì, pi la tò festa, juntu

ddà davanti a la Cruci di San Petru,

chianti li pedi e resti nni ddu puntu.

Poi ti risolvi e cerchi di scappari

Daduni è ddà e nun voi turnari ‘ndietru…

L’amuri anticu nun si pò scurdari!

Traduzione:

San Filippo il Casalottaro,

inteso il Lupo nel suo quartiere,

come fu che a Piazza ti portarono

e non ad Aidone? E tu che fa… non c’eri?

Ed anni e anni e secoli passarono,

ma tu rimanesti sempre forestiero;

e torce e “alberi della cuccagna” inutilmente abbondarono,

sempre ad Aidone va il tuo pensiero.

E quando sei giunto per la tua festa,

là davanti la Croce di San Pietro,

pianti i piedi e resti fermo.

Poi ti decidi e cerchi di scappare

Aidone è là e non vuoi tornare indietro…

L’amore antico non si può scordare!»51.

 

Il 3 maggio si celebra la festa di Maria SS di Piazza vecchia (Zazza Veccia). Presso il Santuario di Piazza vecchia fu ritrovata secondo la leggenda l’effige di Maria SS. della Vittoria insieme ad un capello della Vergine. Per commemorare questo miracoloso rinvenimento si svolgeva in passato una processione della reliquia, poi sostituita dall’immagine della Madonna. L’icona viene oggi prelevata il 1 maggio dal Santuario di Piazza vecchia per essere portata in processione sino alla Chiesa degli Angeli Custodi, nel quartiere storico del Monte. Dopo avere attraversato le vie della città, l’immagine fa rientro al Santuario il 3 maggio con il tradizionale uso di innalzare l’albero della cuccagna, chiamato a Piazza Armerina Gioia. Il 12 maggio, o la prima domenica successiva, si svolge la festa di San Filippo d’Agira (oggetto delle dispute succitate). Il Santo è raffigurato con le vesti sacerdotali e ai piedi un nvasatu che gli impetra la guarigione in virtù del suo potere taumaturgico per la cura delle malattie mentali e le possessioni. La vigilia della festa si svolge la firriata, ovvero la processione dei fedeli che per grazia ricevuta o per richiederla portano in mano torce adornate con carta, stoffa o plastica o trainano muli, cavalli o asini carichi di sacchi di frumento da recare in dono presso la chiesa dedicata al Santo, nel quartiere Casalotto. La firriata si ripete anche il giorno della festa liturgica con la partecipazione della banda musicale e di un gruppo di bambini vestiti da angeli. La festa di Maria SS. Ausiliatrice, di recente istituzione, si celebra annualmente il 24 maggio presso l’omonima parrocchia con la solenne processione del fercolo, portato in spalla dai fedeli e preceduto dalla banda musicale. La seconda domenica dopo Pentecoste si celebra il Corpus Domini.

A Piazza Armerina, dopo la celebrazione liturgica in Cattedrale si svolge la processione per le vie cittadine, che vedeva in passato la partecipazione delle confraternite. In concomitanza con i festeggiamenti, si svolge la Fiera di maggio che fino al 1858 durava quindici giorni e aveva luogo presso il piano antistante la Chiesa Madre. Tra giugno e luglio si svolgevano a Piazza Armerina due feste oggi scomparse. Il 13 giugno si ricordava con una tredicina la morte di Sant’Antonio da Padova, cui si rivolgevano le donne nubili per trovare marito con la seguente preghiera: «Sant’Antuninu mittitilu ’ncaminu; Santissimu Sagramentu ’un ci mittiti mpidimentu»52. Il 25 luglio si celebrava San Giacomo con un pellegrinaggio notturno dalla chiesetta di San Giacomo difronte al cimitero Bellia sino alla croce posta in contrada S. Croce e ritorno. I fedeli portavano delle torce infiorate per riporle ai piedi della statua del Santo una volta concluso il pellegrinaggio. Secondo un’antica tradizione il viaggio andava condotto in silenzio e senza voltarsi, portando in mano una canna tagliata a sette nodi da gettare sul tetto della chiesetta a conclusione del pellegrinaggio. Una deviazione da questa ritualità avrebbe condannato il pellegrino a compiere lo stesso viaggio da morto tra le tribolazioni. La Madonna delle Vittorie è la patrona di Piazza Armerina. La festa, che si celebrava saltuariamente sino alla prima metà del Novecento, oggi è una ricorrenza annuale molto partecipata. I festeggiamenti si estendono per la prima quindicina di agosto, includono il Palio dei Normanni (si veda anche più avanti il paragrafo dedicato) e si concludono con la processione, in una teca d’argento ricoperta di ex-voto, del vessillo con l’immagine della Madonna. La leggenda che si tramanda narra che questo vessillo sia stato offerto da Papa Nicolò II al Conte Ruggero che a sua volta ne fece dono alla città di Piazza durante la sua impresa contro i Saraceni. Durante la distruzione del vecchio nucleo urbano ad opera di Guglielmo I, il vessillo fu nascosto dai piazzesi dentro una cassa di noce. Nel 1348, la città fu colpita da una grave piaga e il sacerdote Giovanni Candilia supplicò la Vergine che in sogno gli rivelò il luogo dove si trovava nascosto il vessillo. La storia vuole che l’immagine sia stata rinvenuta illesa e illuminata da una lampada ancora ardente. La raffigurazione della Vergine fu portata in processione nella città nuova che fu salvata dalla piaga. Da allora il vessillo, ricorda Giuseppe Pitrè, «passò in secolare venerazione d’ogni Piazzese, che lo guarda come celeste deposito, tutela, salute, vita della patria»53. Ai tempi in cui scriveva il demologo palermitano, la festa si dispiegava lungo cinque giornate. Il primo giorno si svolgeva la cavalcata storica a memoria dell’entrata di Ruggero a Piazza. Un gruppo di attori rievocava l’ingresso trionfale del Conte recante lo stendardo procedendo su cavalli bardati alla foggia normanna. Il giorno conclusivo prevedeva la processione del vessillo su un fercolo, anticamente portato in spalla dagli ecclesiastici, poi dai Giurati del Comune, dai nobili e nell’Ottocento dalla borghesia preceduto dalle confraternite ciascuna delle quali partecipava con le statue dei propri Santi. Nel periodo connotato dalla mietitura e trebbiatura del grano e della maturazione delle nocciole, si svolgeva la festa della Madonna delle Grazie. In passato gli agricoltori attraversavano le vie della città per chiedere la grazia di un abbondante raccolto. Oggi la festa si celebra esclusivamente in chiesa l’ultima domenica di agosto. Una copiosa raccolta di noci era impetrata anche con la festa, oggi scomparsa, di Santa Maria della Noce. La fiera di settembre, che si svolge per tre giorni era in passato concomitante a questa celebrazione e si teneva per otto giorni nella piana della Bellia54. La festa che chiude il calendario cerimoniale di Piazza Armerina è quella autunnale di Maria SS. della Catena. Dopo la novena il fercolo con la statua della Madonna è portato in processione per le vie del paese l’ultima domenica di settembre.

54 Nigrelli I. (1989). Piazza Armerina. L’ambiente naturale, la storia, la vita economica e sociale, Italo-Latino-Americana Palma, Palermo.

Occasioni festive Date
Festa dei Morti 1 novembre
Santa Barbara 4 dicembre
Santa Lucia 13 dicembre
Natale 25 dicembre e i nove giorni che precedono
Sant’Antonio Abate 17 gennaio
Carnevale Variabile
Settimana Santa Variabile
Santa Maria dell’Itria Martedì successivo alla Pasqua
San Vincenzo Ferreri Domenica in Albis
San Giuseppe 19 marzo – 1 maggio
San Filippo Apostolo 1 maggio
Maria SS. di Piazza vecchia 1-3 maggio
San Filippo d’Agira 12 maggio
Maria SS. Ausiliatrice 24 maggio
Corpus Domini Variabile
S. Antonio da Padova 13 giugno
San Giacomo 25 luglio
Maria SS. delle Vittorie 15 agosto
Palio dei Normanni 13-14 agosto
Madonna delle Grazie Ultima domenica di agosto
Santa Maria della Noce 8 settembre
Maria SS. della Catena Ultima domenica di settembre